Sia per questioni culturali che di natura psicologica, ammettere di soffrire di questo disturbo è davvero complicato, perché a volte il paziente nega o minimizza i sintomi e non ne parla con il medico né con i familiari.
Mi capita spesso di sentirmi dire: “Che strano, non mi era mai successo prima!”, o addirittura di vedere i figli vergognarsi dei propri genitori. Quando succede, cerco sempre di spiegare che non c’è nulla di strano né di “disonorevole” nell’incontinenza, che può capitare a prescindere dall’età e dal sesso e che la consapevolezza è il primo passo per imparare a conviverci nel modo più sereno possibile. E questo vale sia per chi ne soffre, sia per chi deve assistere un parente o un paziente.
È comprensibile che si abbia una certa riluttanza nel parlare di questo argomento, specialmente con il partner, ma spesso il disagio più grande è causato proprio da questo silenzio piuttosto che dall’incontinenza.
Ho conosciuto pazienti che, pur di non ammettere di essere incontinenti, hanno man mano rinunciato alle proprie abitudini, smesso di frequentare gli amici o di praticare sport e addirittura manifestato episodi di ansia o depressione legati a questa condizione per loro inammissibile.
Con l’esperienza ho imparato che assumere un atteggiamento di comprensione anziché di rimprovero, sia nei propri confronti che in quelli della persona assistita, e parlarne con il medico di famiglia (e con le persone a cui vogliamo bene), sono passaggi necessari per affrontare meglio queste situazioni.
Perché l’incontinenza è un disturbo che si può trattare, curare, e con il quale si può convivere: oggi gli ausili assorbenti sono discreti, confortevoli e possono farci vivere con meno rinunce e senza imbarazzo.