Quello che amo del mio mestiere è che so di poter dare una mano in un momento in cui le persone sono più fragili e in cui, anche le famiglie, hanno bisogno di un supporto pratico e psicologico.
Con gli anni ho acquisito sempre più consapevolezza e ho imparato che il primo passo è osservare e ascoltare i pazienti: perché ognuno, oltre che per età e gravità del problema che sta affrontando, ha esigenze diverse.
Quindi, prima di tutto, cerco di aiutarli ad accettare e affrontare un cambio di stile di vita: perché non c’è mai un’unica soluzione all’incontinenza ma tante piccole azioni che, messe in atto quotidianamente, possono portare a dei miglioramenti concreti.
A partire dall’alimentazione, spesso sottovalutata, ma anche facendo la massima attenzione a una corretta igiene intima, perché è indispensabile per prevenire gli arrossamenti e la formazione di cattivi odori causati dall’umidità e dalla presenza di germi e batteri. Anche per questo, è fondamentale asciugare perfettamente la pelle prima di indossare (o far indossare) gli ausili assorbenti.
Altro aspetto cruciale è la scelta dell’ausilio assorbente più adatto alle esigenze specifiche di chi mi trovo di fronte: la condizione della persona, la situazione familiare e le sue attività sociali e abitative sono tutte variabili da tenere in considerazione per individuare la soluzione migliore. Per esempio, io preferisco evitare di utilizzare i pannoloni mutandina se il mio paziente è in grado di andare, seppur accompagnato, in bagno. Piuttosto mi preoccupo che il percorso sia breve e non ci siano ostacoli, in modo da poterlo raggiungere più facilmente, e utilizzo dispositivi assorbenti indossabili in bagno come la biancheria, ad esempio i pants: questo piccolo accorgimento aiuta, perché lascia alla persona maggiore autonomia.